I più antichi insediamenti umani in quello che è l’attuale territorio di Sammichele, risalgono al Neolitico e sono stati scoperti in località Canale di Frassineto, ai piedi di Monte Sannace. Altri reperti risalenti all’età del bronzo sono stati ritrovati in località Pentimome, qualche kilometro a nord di Frassineto seguendo il letto asciutto di un antico solco torrentizio (Lama di Jumo – Lama San Giorgio). La zona ha dimostrato di essere ricchissima di reperti anche di epoche successive. La rilevanza di tale sito e la continua frequentazione nel corso dei secoli è dovuta alla sua posizione strategica alla confluenza di due strade canale molto importanti: quella, già citata, che dai piedi di Monte Sannace sfocia poco a sud di Bari e l’altra che da Gravina di Puglia, attraverso il Canale di Pirro (o di Pilo), porta ad Egnazia.
Quasi parallela alla lama di Jumo fu realizzata, in epoca peuceta, una strada che partendo da Paduano, porto di Azetium (Rutigliano) sull’Adriatico, passando dalla stessa Azetium, portava alla città peuceta di Monte Sannace proseguendo poi per Taranto e quindi Metaponto (vetus via Tarenti).
La zona delle Quattro Miglia, così era anche conosciuto il territorio, trovandosi in posizione baricentrica tra i quattro comuni limitrofi, non resta, però, mai del tutto disabitata. Nell’androne del palazzo che da tempo immemorabile sorveglia queste contrade, è ancora leggibile un’iscrizione su pietra calcarea, datata 1504, che attesta la proprietà da parte di Heronimo Centurione, banchiere genovese trapiantato a Bari che, probabilmente, l’ha acquisito dagli Acquaviva d’Aragona, signori di Conversano, per debiti non pagati.
La torre-castello era stata edificata nella prima metà del ‘400, quando tutto il territorio apparteneva a Giannantonio Orsini del Balzo Principe di Taranto, come postazione di controllo e difesa del territorio, nell’ambito delle lotte di successione al trono di Napoli tra angioini e aragonesi. L’intera contea di Conversano era stata poi data in dote a Caterina Orsini del Balzo sposatasi con Giulio Antonio Acquaviva d’Aragona.
Alla morte del Centurione, il feudo torna agli Acquaviva ma, alla fine del ‘500, questa famiglia risulta essere, ancora una volta, fortemente indebitata, specialmente con i Latilla di Casamassima, ed il feudo viene confiscato.
Del territorio delle Quattro Miglia, non si hanno più notizie sino al 1608 quando un mercante ebreo-portoghese, Michele Vaaz che si è convertito al cattolicesimo, lo acquista dal fisco assieme al feudo di Casamassima. Il Vaaz pur se non di nobili origini, per meriti acquisiti agli occhi del viceré di Napoli, ottiene il titolo di conte e, all’apice delle sue fortune, decide di costruire un paese che tramandi ai posteri il suo nome: Casa Vaaz. Il sito prescelto è proprio quello dove sorge l’antica torre e, per popolarlo, fa arrivare dalle coste della Dalmazia una comunità di slavi, composta da circa 460 anime, che sta scappando dall’invasione turca. Sbarcati a Barletta, mentre il grosso si muove verso le nostre terre, una delegazione capeggiata dal sacerdote di rito ortodosso Damiano de Damianiis viene condotta a Napoli, dove è stilato l’atto di fondazione di Casa Vaaz: è il 6 luglio del 1615.
Il Conte si impegna a costruire a proprie spese, intorno alla Centuriona, 87 case complete di tutto. Assegna ad ogni famiglia dieci tomoli di terra da coltivare e venti tomoli di grano; presta, poi, a tutta la comunità 250 ducati per l’acquisto di buoi con tutti i ferramenti e gli utensili necessari.
In cambio i serbi sono tenuti al pagamento perpetuo di 2 carlini all’anno, per ogni vano di abitazione, e la decima del raccolto e degli animali ma, soprattutto, devono convertirsi al rito cattolico.
I serbi accettano tutte le condizioni, ma continuano, di nascosto, a battezzare i loro figli con il rito ortodosso dopo che sono già stati battezzati con il rito cattolico. L’Arciprete di Casamassima, sotto la cui giurisdizione si trova la nuova parrocchia, venuto a conoscenza del fatto, mette al corrente il Vescovo Ascanio Gesualdo il quale, attraverso la Santa Sede, ottiene dal viceré di Napoli la cacciata dei Serbi.
Partiti gli stranieri, il villaggio si ripopola di famiglie arrivate dai paesi limitrofi. La nuova comunità nomina come sindaco Leonardo Netti e stipula un nuovo contratto con il conte: è il 1619. Già da tempo, comunque, il paese ha cambiato nome. Da atti notarili del 1617 risulta già chiamarsi Casale Sancti Michaelis. Il cambio del nome è conseguenza del fatto che le fortune del Vaaz stanno per tramontare. Alla corte di Napoli i suoi nemici stanno aumentando sempre di più e l’accusa di non essersi mai realmente convertito al cattolicesimo è sempre più pressante. Al paese è dato quindi il nome dell’Arcangelo ma Michele è anche il nome del Conte.
Con il secondo atto, il Vaaz, si impegna a costruire altre 13 case per raggiungere il numero complessivo di 100; inoltre, chiunque vuole edificare a spese proprie, in detto Casale, deve corrispondere 5 carlini all’anno, in perpetuo, per il costo del suolo.
Morto Michele Vaaz, gli succede il nipote Simone. Le fortune della famiglia sono, però, in declino; coperti di debiti, perdono il feudo a favore di Antonio de Ponte, Consigliere della Regia Camera della Sommaria. Il periodo della dinastia de Ponte dura dal 1667 al 1794. Giacomo de Ponte muore nel 1779 senza figli e, quindi, il feudo di Casamassima e Casal S. Michele passa alla sorella Maria Giuseppa, che ha sposato Nicola Caracciolo dei duchi di Vietri. Alla morte di quest’ultimo, feudatario diventa il figlio Domenico che assume, quindi, il titolo di duca di Vietri, Casamassima e S. Michele.
Nei primi anni dell’800, con l’eversione della feudalità, i Caracciolo perdono la maggior parte dei loro territori, restando, però, proprietari di quella che era stata la torre Centuriona. Un grosso impulso allo sviluppo del paese, lo si deve alla costruzione della nuova strada consolare Bari–Taranto e la popolazione raggiunge il numero di 3.000 abitanti. L’espansione edilizia porta ad uscire dalle mura del vecchio borgo, con una rapida crescita lungo le direttrici Casamassima–Gioia e Turi–Acquaviva. Nel XIX secolo si ha, grazie all’opera illuminata di alcuni amministratori dell’epoca quali i Sindaci Giuseppe Maselli, Michele Lagravinese e Giuseppe Pastore, la realizzazione delle più importanti opere pubbliche. Intorno al 1840, inizia l’abitudine, da parte degli impiegati comunali, di scrivere sugli atti ufficiali, prima Sanmichele e poi Sammichele. Con l’unità d’Italia il Comune assume definitivamente il nome di Sammichele di Bari.
Si ringrazia per il testo l’ing. Giacomo Spinelli, presidente del Centro Studi di Storia e Cultura di Sammichele di Bari. Le fotografie sono gentilmente concesse dal fotografo Tonio Deramo.